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Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Riccardo Duranti: L'affettuosa fantasia
di Daniela Attanasio


Riccardo Duranti, L'affettuosa fantasia, Aracne, Roma 1998, L. 10.000

Quando si ha di fronte un libro di versi non si può fare a meno di cercare, nelle frasi
che scorrono sotto gli occhi, il viso, lo sguardo, il cuore del poeta. C'è una mano
che scrive, il più delle volte senza intenzioni, ma con la volontà di fare arrivare
alle labbra ciò che la parolapuò rendere della propria esperienza del vivere.
In poesia non si entra nei panni dell’altro, non si cuce un vestito per ricoprire una forma
e farla diventare maschera, ma si scende in profondità e si tocca un punto estremo
lasciato all'azzardo di chi sa di attraversare una regioneione nuova.
L’ffettuosa fantasia di Riccardo Duranti si apre con
dedica a un'amica-poeta morta suicida, un evento tragico che l'autore cristallizza
in uno stile secco e parabolico, dove la pena si cela in un'equazione matematica
“che annulla il peso ed esalta il senso delle parole". E questa scelta di apparente
oggettività stilistica e sentimentale è e sarà, nel corso della lettura, il tratto distintivo
della raccolta, la sua fisionomia.
Chi scrive poesia conosce l'esperienza del silenzio da cui nasce la parola.
Ne l’affettuosa fantasia (titolo la cui matrice michelangiolesca ritroveremo in uno dei versi
finali) questa esperienza ricorre sin dal primo testo anche se qui è di un silenzio definitivo
che si parla. li silenzio si diffonde come una dura presenza sulle pagine del libro, come una tentazione, un rischio, un'entità necessaria che allarma per la sua insondabile profondità
e al tempo stesso conforta perché protegge la durata della lingua dal suo inevitabile degrado.
E per contrastare il silenzio della morte e dare invece senso a quello da cui prende forma
la poesia, Duranti si affida alla concretezza, allo spessore della parola. La sua fisicità
è il peso che ci fa tenere i piedi in terra e gli occhi aperti fino all'ultima e unica verità
che non concede elusione.
C'è sempre una regola per ogni forma di vita, per ogni scrittura. La regola che qui l'autore
sembra aver fatto sua si lega alla geometria della visione, a un ordine che consenta
di raddrizzare l'incoerenza della realtà. l'invenzione arriva dal pensiero, dallo strenuo
ragionare, sul perché o sul come della poesia, del sogno, dei male che incide di cicatrici le storie
personali e le vicende del mondo. E questo ragionare si dipana per sentieri di vita e di memoria tracciando il percorso esistenziale di un uomo che riconosce, osserva, dà nome alle cose
e ai sentimenti e costruisce uno spazio dove vorrebbe contenere tutto e dove tutto dovrebbe
avere senso. Ma è difficile se non impossibile mantenere "l'equilibrio dei quadrati" o l’”utopia”
di una retta e questa impossibilità sembra ,essere la malinconia o la dannazione di un poeta
come Duranti. La poesia rischia di annullare, con quel suo scavo nel profondo che sconvolge
margini e confini, la geografia del mondo. Così una specie di ansia muove i versi de
L'affettuosa fantasia, l'ansia di rimanere attanagliati dal mistero del silenzio, di non potere
più dire, di cadere in una impotente afasia simile alla morte. È qui che la regola della sintassi
e dei metro viene in aiuto al poeta nella sua ricerca di "tracciare la mappa/dei sentieri
e dei ponti/che aggirano le macerie mute"; una strategia di aggiramento che non sempre
riesce ad annullare il vuoto e l'inquietudine. La felicità e il dolore erompono lo stesso come trovassero uno sbocco nella trama spessa della scrittura, come se oltre al senso
caparbiamente cercato emergesse un residuo di verità che non ha certezze né dà spiegazioni.
Allora quella trama di linee che Duranti sembra prediligere e perseguire si lacera e lascia
scorrere le lacrime; "Lacrimano stremati gli occhi/maledicendo le interferenze" è detto
in una delle più belle poesie della raccolta.
Anche la natura a volte rimanda immagini di vuoto e di inesistenza e di nuovo si ripete
lo sforzo per rintracciare una regola che organizzi la visione del mondo e la riempia
di significati. Nella sezione che chiude il libro, Fondali naturali (ultima delle quattro
che lo compongono), l'occhio del poeta trova conforto nell'osservazione del paesaggio
e nel mutamento delle stagioni, in una realtà palpabile che segna tempo e spazio
con segmenti definiti, con colori e dove, ad occhi aperti, si riscopre la regola semplice
della vita.
Qui sembra fondersi il vuoto con il pieno, l'astrazione dell'idea con la concretezza
delle cose, la precarietà di un clima con la certezza della durata. La vita muove la terra
e il cielo, alla terra si attaccano le radici e i semi, "mormorano nei rami/sottilissime marce",
il vento sposta i confini, li rinnova e in questo ciclo di alternanti stagioni trascorre la semplice
verità della nostra esistenza. In un’intensa poesia di chiusura del libro, Sestina, è il vento
che agisce come fosse il deus ex machina non di una tragedia ma di un racconto.
Questa costante corrente d'aria accompagna la narrazione di un paesaggio e di un dolore
e rimanendo viva colma le distanze, lenisce la pena dell'esilio, fa sciogliere lacrime e confini.
Il vento muove la natura e lascia circolare un’eco di parole che si rincorrono e si perdono
seguendo un ritmo di scrittura e di pensiero. Chi è questo vento, un’idea, l'amore, un’entità trascendente alla quale non si sa dare nome, la ragione, la vita? Duranti lascia che le risposte
trovino spazio nelle tante storie del mondo, ma nel verso finale scrive: "e tutti i vuoti li riempie
ormai il vento". E certo non si può fare a meno di pensare che questo soffio carico di verità
non sia in fondo proprio la poesia.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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