Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

L'inconscio e la denuncia in Tony Harrison
di Antonio Spagnuolo
 

 

L’’inconscio e la denuncia – in Tony Harrison :
“V e altre poesie” – pagg. 196 - Ed. Einaudi  1992 – L.22.000
a cura di Massimo Bacigalupo

La virtuale sfera di fuoco del nostro inconscio potrebbe essere avvolta nel
mercurius vulgi, il comune argentovivo, nel quale il pomo misterioso si avviluppa
in una vera identità occulta, concretizzando la banale visione del mondo secondo
errori perdonabili e sottili.
Le aspettative personali, collocate in una tradizione culturale  incapace di
superare le più semplici polarità del quotidiano, verrebbero così sostituite dalle
nebulose immagini del simbolo : l’individuo rifiuta gli abiti del quotidiano, che si
arrocca alla soffocante banalità, come l’ineludibile gioco della casualità, e cerca
di riconoscere ed affermare quanto rimane sepolto nei fondali dell’inconscio e dell’inespresso.
L’esistenza, in un sussulto, dimostra di possedere anche saggezza, discernimento,
prudenza, non più da sottrarre all’arbitrio della manipolazione e della elucubrazione
cosciente, ma da plasmare nelle sue modalità di espressione in  sostanza di  consenso,
tra apparenti negazioni, pronunciate in risposta ad altrettante domande.
Non di rado Harrison concede una sottile satira ai suoi versi più sostanziosi, affinché
il pathos intorno al suo messaggio arrivi a conclusioni paradossali e pur vere, nel
guardare con un  certo timore il riconoscersi nella possibilità che fosse esatto anche
quanto denunciato come improbabile.
Se dunque da un lato ci martellano alcune parole chiave, che fanno dello sfregio
l’atto visibile di una gioventù disattenta e ignorante, dall’altro il simbolo, intriso
spesso di realismo o naturalismo, denuncia la presunzione che l’uomo sia capace
di salvarsi da solo:

  I V sono tutti i contro della vita,
  da leeds contro derby, comunista contro fascista,
  nonché (lo impari a caro prezzo) moglie contro marito
  bianco contro nero, destra contro sinistra,
  classe contro classe con il risentimento di prima,
  la violenza senza fine di Noi e Loro,
  personificata nel 1984,
  da MacGregor dei padroni del carbone e l’Unione
  Minatori…(pag.9).

Le diverse identità che scaturiscono dalle immagini epigrafiche che l’autore
propone gravitano in proporzione degli spazi che la violenza predispone.
L’inconscio riprende energicamente la sua attività nell’impiego di quella
scrittura che l’autore va sottraendo alle lapidi del cimitero :

  La lingua del cimitero spazia da
  un po’ di latino per l’ex-sindaco
  o quelli che immolarono la vita alla Somme,
  la preghiera indorata, il brano d’inno,
  come fu che un tale “si addormentò nel signore”,
  versetti facili a incidere dal libro sacro,
rime lunghe secondo portata delle borse-
a Figa, Piscio, Merda e (per lo più) Cazzo ! (pag.7)

e ciò non per semplice desiderio di denuncia, di documentazione sterile e
provocatoria, bensì perché l’onirico che si accumula nella psiche dell’autore
ha il bisogno di sprigionare tutte quelle fantasie e quelle soffoc/azioni che
l’irruenza dell’anonimo ha scatenato progressivamente nel monologo selvaggio
della scrittura.

  Sotto i tuoi piedi è un poeta, poi una caverna.
  Sostenitore  della poesia, se sei qui per saperlo,
  come i versi possono nascere (t’ho fregato!) dalla
  Merda,
  trova la carne, la birra, il pane, poi guarda indietro. (pag.35)

Il pericolo di volgere lo sguardo al passato, all’infanzia, alla madre natura,
costringe la personalità concepita globalmente ad avere paura della libido,
che inconsapevolmente si appropria delle nostre esperienze : un tesoro difficile
da raggiungere anche attraverso la poesia, perché un canto, anche il più sentimentale,
può avere origine incredibilmente anche dalla merda.
La caverna è qui la madre terrificante, adombrata dal mistero della vita, per la
quale carne, birra, pane potrebbero essere la fonte della potenza, della poesia
intesa quale mezzo di purificazione, anche se la nostra mente viene involontariamente
gettata in una voragine che si è fatta menzione.

  Le tue caviglie grasse, di ballerina mancata,
  emergono a sinistra, a destra, a sinistra. Senza fiato, sosto
  e spio la metà sotto la sottana,
  quei pallidi dieci centimetri sopra i calzini.
  E’ una vista che fa per me. Non va poi tanto
  Tutto questo gotico vecchio barocco.

Siamo umani, giovani vogliosi, stufi di guerre.
Voglio questa bella rossa per amica.
Scendi come una fanciulla di neve dall’aria.
Riempi la nicchia vuota di Crisostomo o Basilio,
scaccia il rigido Nelson da Trafalgar Square.
Senti le masse che gridano : Dea! E i padroni: Cagna!
Vi consociamo puttane e Mata Hari straniere.
Sono stanco di corpi di pietra, voglio il tuo.  (pag.45-47)

Le enigmatiche evocazioni, gustate come attenzione ossessiva per il luogo
comune privo delle peculiarità, divengono l’atto di cui ognuno si spoglia della
sua particolarità, per scolorire nell’indeterminazione dell’universale, carica di
anonimato e di impunità.

  Ogni sera quando abbasso le tendine
  le stelle sembrano gocce della buccia notturna;
  il sole, frutto spelato della notte, spreme i raggi
  con cui macchia, stria, poi allaga il mondo di giorni…(pag.137)

L’esperienza vissuta diviene una esattezza organica, puramente istintiva, nella
quale la verità presuppone coscienza, e quindi una relativa libertà di volere, per
soddisfare l’esigenza dell’archetipo offeso e segnare il passaggio  delle nostre
estrinsecazioni dalla pura e semplice lettura dell’inconscio alla molteplicità delle
formulazioni espressive.
Qui l’impasto risultante dalla violenza, dal sentimento, dalla critica al socialmente
deteriore, appare quasi come una rappresentazione teatrale e proprio per questo
ancora una volta un semplice dettato dell’onirico nello svolgimento della recitazione.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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