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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche L'inconscio e la denuncia
in Tony Harrison
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La virtuale
sfera di fuoco del nostro inconscio potrebbe essere avvolta nel
mercurius
vulgi, il comune argentovivo, nel quale il pomo misterioso si avviluppa
in una
vera identità occulta, concretizzando la banale visione del mondo
secondo
errori
perdonabili e sottili.
Le aspettative
personali, collocate in una tradizione culturale incapace di
superare
le più semplici polarità del quotidiano, verrebbero così
sostituite dalle
nebulose
immagini del simbolo : l’individuo rifiuta gli abiti del quotidiano, che
si
arrocca
alla soffocante banalità, come l’ineludibile gioco della casualità,
e cerca
di riconoscere
ed affermare quanto rimane sepolto nei fondali dell’inconscio e dell’inespresso.
L’esistenza,
in un sussulto, dimostra di possedere anche saggezza, discernimento,
prudenza,
non più da sottrarre all’arbitrio della manipolazione e della elucubrazione
cosciente,
ma da plasmare nelle sue modalità di espressione in sostanza
di consenso,
tra apparenti
negazioni, pronunciate in risposta ad altrettante domande.
Non di
rado Harrison concede una sottile satira ai suoi versi più sostanziosi,
affinché
il pathos
intorno al suo messaggio arrivi a conclusioni paradossali e pur vere, nel
guardare
con un certo timore il riconoscersi nella possibilità che
fosse esatto anche
quanto
denunciato come improbabile.
Se dunque
da un lato ci martellano alcune parole chiave, che fanno dello sfregio
l’atto
visibile di una gioventù disattenta e ignorante, dall’altro il simbolo,
intriso
spesso
di realismo o naturalismo, denuncia la presunzione che l’uomo sia capace
di salvarsi
da solo:
I
V sono tutti i contro della vita,
da leeds contro derby, comunista contro fascista,
nonché (lo impari a caro prezzo) moglie contro marito
bianco contro nero, destra contro sinistra,
classe contro classe con il risentimento di prima,
la violenza senza fine di Noi e Loro,
personificata nel 1984,
da MacGregor dei padroni del carbone e l’Unione
Minatori…(pag.9).
Le diverse
identità che scaturiscono dalle immagini epigrafiche che l’autore
propone
gravitano in proporzione degli spazi che la violenza predispone.
L’inconscio
riprende energicamente la sua attività nell’impiego di quella
scrittura
che l’autore va sottraendo alle lapidi del cimitero :
La
lingua del cimitero spazia da
un po’ di latino per l’ex-sindaco
o quelli che immolarono la vita alla Somme,
la preghiera indorata, il brano d’inno,
come fu che un tale “si addormentò nel signore”,
versetti facili a incidere dal libro sacro,
rime lunghe
secondo portata delle borse-
a Figa,
Piscio, Merda e (per lo più) Cazzo ! (pag.7)
e ciò
non per semplice desiderio di denuncia, di documentazione sterile e
provocatoria,
bensì perché l’onirico che si accumula nella psiche dell’autore
ha il bisogno
di sprigionare tutte quelle fantasie e quelle soffoc/azioni che
l’irruenza
dell’anonimo ha scatenato progressivamente nel monologo selvaggio
della scrittura.
Sotto
i tuoi piedi è un poeta, poi una caverna.
Sostenitore della poesia, se sei qui per saperlo,
come i versi possono nascere (t’ho fregato!) dalla
Merda,
trova la carne, la birra, il pane, poi guarda indietro. (pag.35)
Il pericolo
di volgere lo sguardo al passato, all’infanzia, alla madre natura,
costringe
la personalità concepita globalmente ad avere paura della libido,
che inconsapevolmente
si appropria delle nostre esperienze : un tesoro difficile
da raggiungere
anche attraverso la poesia, perché un canto, anche il più
sentimentale,
può
avere origine incredibilmente anche dalla merda.
La caverna
è qui la madre terrificante, adombrata dal mistero della vita, per
la
quale carne,
birra, pane potrebbero essere la fonte della potenza, della poesia
intesa
quale mezzo di purificazione, anche se la nostra mente viene involontariamente
gettata
in una voragine che si è fatta menzione.
Le
tue caviglie grasse, di ballerina mancata,
emergono a sinistra, a destra, a sinistra. Senza fiato, sosto
e spio la metà sotto la sottana,
quei pallidi dieci centimetri sopra i calzini.
E’ una vista che fa per me. Non va poi tanto
Tutto questo gotico vecchio barocco.
…
Siamo umani,
giovani vogliosi, stufi di guerre.
Voglio
questa bella rossa per amica.
Scendi
come una fanciulla di neve dall’aria.
Riempi
la nicchia vuota di Crisostomo o Basilio,
scaccia
il rigido Nelson da Trafalgar Square.
Senti le
masse che gridano : Dea! E i padroni: Cagna!
Vi consociamo
puttane e Mata Hari straniere.
Sono stanco
di corpi di pietra, voglio il tuo. (pag.45-47)
Le enigmatiche
evocazioni, gustate come attenzione ossessiva per il luogo
comune
privo delle peculiarità, divengono l’atto di cui ognuno si spoglia
della
sua particolarità,
per scolorire nell’indeterminazione dell’universale, carica di
anonimato
e di impunità.
Ogni
sera quando abbasso le tendine
le stelle sembrano gocce della buccia notturna;
il sole, frutto spelato della notte, spreme i raggi
con cui macchia, stria, poi allaga il mondo di giorni…(pag.137)
L’esperienza
vissuta diviene una esattezza organica, puramente istintiva, nella
quale la
verità presuppone coscienza, e quindi una relativa libertà
di volere, per
soddisfare
l’esigenza dell’archetipo offeso e segnare il passaggio delle nostre
estrinsecazioni
dalla pura e semplice lettura dell’inconscio alla molteplicità delle
formulazioni
espressive.
Qui l’impasto
risultante dalla violenza, dal sentimento, dalla critica al socialmente
deteriore,
appare quasi come una rappresentazione teatrale e proprio per questo
ancora
una volta un semplice dettato dell’onirico nello svolgimento della recitazione.