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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Maria Luisa
Spaziani: Poesie (1954-1996)
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“Tu che
rastremi in te ogni profondo
della mia
mente-cuore,
che fai
vergini e chiare le parole
quotidiane,
le dracme corrose,
accogli
le mie lettere: così
con la
zattera è pietosa la riva.
Ti scriverò
nei giorni fulgidissimi
e in giorni
maledetti,
i giorni
del cuore trionfante
e i giorni
del cuore zitto
quando
striscia e ci inchioda quel sospetto:
tutto è
già stato scritto?” (pag. 282)
Un canto
soffice e triste ripete quella fragile denudata realtà quotidiana,
lungo il margine
della poesia
e del frammento, lungo il sanguinante sospetto della mediocrità
travestita
da illusione,
lungo l’accadere circoscritto e registrato in un mondo, ove forse ogni
esperienza
ed ogni palpitazione è già stata scritta.
Maria Luisa
precisa nella prefazione : “ Accettare di trarre da sette libri di poesia
un’autoantologia
che ne accolga poco più della metà è un tormento sconsigliabile
per un
poeta.
i tratta
di andare dai tempi della cera vergine a quelli della maturità cosciente,
rischiare
di confondere
il tono degli eventi remoti con l’aura di storie recenti, livellare agli
occhi
del lettore
le variazioni stilistiche; la metrica classica che si alterna a modi sperimentali,
i valori
ritmofonici del parlato che si snodano su base tonale sul prevalente gioco
di settenari
ed endecasillabi
in tutte le variazioni dei loro possibili accenti. Per il poeta il coinvolgimento
è
inevitabilmente emotivo mentre risale a tutte le euforie e zone d’ombra
lungo
una riconoscibile
linea esistenziale, e spietatamente taglia. Ritornare su certi nodi vitali
e scintillanti,
dolorosi e sanguinanti, ci ricorda come nessun percorso vissuto possa essere
né
escluso né concluso. Beati gli autori di concerti e sinfonie, non
legati al loro passato
con situazioni
e parole precise.”
“E lui mi
aspetterà nell’ipertempo,
sorridente
e puntuale, con saluti
e storie
che alle, poverette orecchie
dell’arrivata
parranno incredibili.
Ma riconoscerà,
lui, ciò che gli dico?
in poche
note o versi qui raccolgo
i messaggi
essenziali. Un altro raggio,
aria diversa
glieli tradurrà.” (pag. 298)
Una testimonianza
che riguarda la poesia riacquistata all’urgenza del “dire” e “del fare”
poetico,
al di là delle figurazioni dell’immaginario e contraddistinta in
una realtà storica,
che ha
attraversato esattamente metà del secolo scorso, per raggiungere
in una ampia
e multicolore
esemplificazione la finestra del duemila preziosamente fresca e governabile.
Nessuno
degli strumenti del “postmoderno” o dell’ “esaurimento del gioco” riesce
ad intaccare
le pagine della Spaziani, la quale, fedele ad un suo personale dettato,
scommette
il cortocircuito ritorno-andata-ritorno per aprire la disponibilità
oltre il reflusso,
fuori da
qualunque malinteso, gioiosamente disposta all’ascolto e alla collaborazione,
dentro
i germi della creatività sempre scintillante e rinnovatesi.
“Nell’odore
dei fieni c’è il passato
stratigrafato,
un Céroli di te.
L’inebriarsi
ingenuo, il ricordarlo,
il ricordare
che l’ hai ricordato.
Ogni anno
il profumo è diverso,
a poco
a poco l’olfatto svaniva.
Più
eroica la memoria si accaniva,
più
forte si aggrappava.
Nell’odore
dei fieni ancora transita
Mia madre(e
i nostri successivi cuori).
Si trasforma
la vita nell’immenso
salone
di un museo senza odori.” (pag. 234)