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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Elio Grasso:
L’Angelo delle distanze
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La rara
poesia contemporanea, gravida di memorie millenarie che si stanno tutte
riassumendo in un unico punto di nascita, è annuncio. Il Nunzio,
il Messaggero della parola che rivela all'uomo ciò che gli è
più proprio e destinato, e che perciò gli sfugge costantemente
di mente, è l'angelo. Il libro di Elio Grasso si intitola
appunto L Angelo, più in piccolo l'angelo è poi qualificato
"delle distanze", forse perché inevitabilmente ogni annuncio o messaggio
mette in relazione, correla, coniuga, congiunge luoghi o persone tra di
loro distanti. La prima poesia della raccolta culmina in un augurio
che possiamo sentire rivolto al dire poetico contemporaneo come tale: "Lo
stile del tessuto ruoti / In annunci d'angelo apparente". Ci si augura
che la poesia ruoti su se stessa, compia "un'inversione delle parole",
e si faccia così portavoce della Corretta Pronuncia di ciò
che da tempo ci è stato comunicato, ma che ancora attende di essere
poeticamente (liberamente) incarnato: "Se assomiglia al famoso spirito,
/ La tempesta, espressa in millenni, turba / L'annuncio intorno al testimone,
inviato / Da colui che congeda il fuoco e cattura, / Per mai separarsene,
l'opera della terra".
L'Annuncio
è oscuro, è faticoso, è confuso a volte, perché
non è un messaggio oggettivo che io o tu o chiunque altro possa
esprimere utilizzando il proprio linguaggio, piuttosto l'Annuncio incomincia
a proferirsi in noi solo quando disancoriamo il nostro linguaggio dall'asse
della nostra centratura egoica, e quindi da ogni nostra capacità
di controllo. Non siamo noi ad esprimere l'Annuncio, ma è
l'Annuncio che ci esprime, ci preme fuori come gemme dai rami morti della
storia, e noi a volte sbagliamo, andiamo fuori misura, intorbidiamo le
acque, perché poi è sempre in una lingua mortale, in una
forma finita, nel nostro avvelenato corpo di memorie, che dobbiamo incarnarne
la potenza.
L'Annuncio
è la forza di quella scintilla nata dall'attrito, è il suo
fulgore, la sua incandescenza, che trasfigura ogni materia rendendola materia
di canto, degna comunque di lode. Ed è questa potenza trasfiguratrice
l'unica misura di bellezza che ci resta. Belle sono le parole che
"oltrepassano / la regione della fine", zampillando come fiamme dalla sorgività
del "cuore essenziale, rivelante", rivelante perché sempre spaccato
dalla lancia lancinante dell'Annuncio.
L'Annuncio
sta rovesciando il punto di emissione della parola e di produzione dei
pensiero "nell'unico occhio inviolato / Del cielo", e così sta mettendo
in contatto diretto le fibre più sensibili del nostro mistero corporeo
con la pioggia di fuoco che sta precipitando a terra, annunciando e bruciando:
"Il cielo scarica / i lumi nel tempo della fine”. Tutto il nostro corpo,
personale e cosmico, è ormai direttamente toccato dal destino, che
ci parla solo per ustioni, tatuaggi, sintesi carnali.
Non ci
sono più lenti protettive: le menti sincere sono fuse.
Siamo in
"attesa d'un mondo concreto", non più distorto dallo sguardo segregante
della nostra falsa identità mortale. Siamo "esausti / Ma chiamati
al furore", tutti in gioco, tutti rimessi in moto, procediamo spesso a
capitomboli, a capriole, carponi. Perimetriamo a tentoni, con mano
tremante, la nuova città, la nuova identità di pellegrini
nella "seguente terra già segreta".
Il lavoro
di Elio Grasso si inserisce in questo sforzo consapevolmente, i suoi versi
migliori ci costringono a rallentare la lettura, quasi a sospenderla, e
a volte, proprio in quei vuoti, ci si inverte lo sguardo e risucchiati
dalle risonanze dell'Annuncio siamo costretti a gridare: "Sia adesso quei
mondo che matura / Nei giorni veri e superiori".