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Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Elio Grasso: L’Angelo delle distanze
di Marco Guzzi


Elio Grasso, L’Angelo delle distanze, Edizioni del Laboratorio 1991

La rara poesia contemporanea, gravida di memorie millenarie che si stanno tutte riassumendo in un unico punto di nascita, è annuncio. Il Nunzio, il Messaggero della parola che rivela all'uomo ciò che gli è più proprio e destinato, e che perciò gli sfugge costantemente di mente, è l'angelo.  Il libro di Elio Grasso si intitola appunto L Angelo, più in piccolo l'angelo è poi qualificato "delle distanze", forse perché inevitabilmente ogni annuncio o messaggio mette in relazione, correla, coniuga, congiunge luoghi o persone tra di loro distanti.  La prima poesia della raccolta culmina in un augurio che possiamo sentire rivolto al dire poetico contemporaneo come tale: "Lo stile del tessuto ruoti / In annunci d'angelo apparente". Ci si augura che la poesia ruoti su se stessa, compia "un'inversione delle parole", e si faccia così portavoce della Corretta Pronuncia di ciò che da tempo ci è stato comunicato, ma che ancora attende di essere poeticamente (liberamente) incarnato: "Se assomiglia al famoso spirito, / La tempesta, espressa in millenni, turba / L'annuncio intorno al testimone, inviato / Da colui che congeda il fuoco e cattura, / Per mai separarsene, l'opera della terra".
L'Annuncio è oscuro, è faticoso, è confuso a volte, perché non è un messaggio oggettivo che io o tu o chiunque altro possa esprimere utilizzando il proprio linguaggio, piuttosto l'Annuncio incomincia a proferirsi in noi solo quando disancoriamo il nostro linguaggio dall'asse della nostra centratura egoica, e quindi da ogni nostra capacità di controllo.  Non siamo noi ad esprimere l'Annuncio, ma è l'Annuncio che ci esprime, ci preme fuori come gemme dai rami morti della storia, e noi a volte sbagliamo, andiamo fuori misura, intorbidiamo le acque, perché poi è sempre in una lingua mortale, in una forma finita, nel nostro avvelenato corpo di memorie, che dobbiamo incarnarne la potenza.
L'Annuncio è la forza di quella scintilla nata dall'attrito, è il suo fulgore, la sua incandescenza, che trasfigura ogni materia rendendola materia di canto, degna comunque di lode.  Ed è questa potenza trasfiguratrice l'unica misura di bellezza che ci resta.  Belle sono le parole che "oltrepassano / la regione della fine", zampillando come fiamme dalla sorgività del "cuore essenziale, rivelante", rivelante perché sempre spaccato dalla lancia lancinante dell'Annuncio.
L'Annuncio sta rovesciando il punto di emissione della parola e di produzione dei pensiero "nell'unico occhio inviolato / Del cielo", e così sta mettendo in contatto diretto le fibre più sensibili del nostro mistero corporeo con la pioggia di fuoco che sta precipitando a terra, annunciando e bruciando: "Il cielo scarica / i lumi nel tempo della fine”. Tutto il nostro corpo, personale e cosmico, è ormai direttamente toccato dal destino, che ci parla solo per ustioni, tatuaggi, sintesi carnali.
Non ci sono più lenti protettive: le menti sincere sono fuse.
Siamo in "attesa d'un mondo concreto", non più distorto dallo sguardo segregante della nostra falsa identità mortale.  Siamo "esausti / Ma chiamati al furore", tutti in gioco, tutti rimessi in moto, procediamo spesso a capitomboli, a capriole, carponi.  Perimetriamo a tentoni, con mano tremante, la nuova città, la nuova identità di pellegrini nella "seguente terra già segreta".
Il lavoro di Elio Grasso si inserisce in questo sforzo consapevolmente, i suoi versi migliori ci costringono a rallentare la lettura, quasi a sospenderla, e a volte, proprio in quei vuoti, ci si inverte lo sguardo e risucchiati dalle risonanze dell'Annuncio siamo costretti a gridare: "Sia adesso quei mondo che matura / Nei giorni veri e superiori".


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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