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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Nino Maiellaro: Poesie scelte
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L’occhio interiore viene ferito
e turbato quando il sopravvivere cerca di riconoscere le tracce
del tempo, mutandosi esso stesso
in ricordo.
Inconsapevolmente la successione
riesce a dipingere le superfici della memoria e diviene immediatamente
tangibile in quello sguardo globale,
che riesce a distinguere ciò che è appena scritto e ciò
che la vita riordina
nella sua continua partenza.
Le sollecitazioni, le stridenti
logiche della dinamica sociale, le contrapposizioni nelle strutture
della cultura,
a volte possono dare origine
ad un fatalismo che nulla ha a che fare con la scrittura poetica, in quella
oscurità delle azioni
quotidiane, sempre eguali e pur sempre accettate come necessaria prosecuzione
del viaggio. Non così quando lo stato delle cose cerca di incidere
nel senso della virtualità, e giustifichi l’effetto
del segno rimandando a quella
che è la dimensione propria della poesia nelle sue modificazioni
e nei suoi rischi
di consistenza.
“Di mattina c’è un profumo
di caffè
nel bar assonnato da dove guardo
la finestra chiusa della mia
stanza.
Di notte
sogno la prateria degli impiccati
e una baracca
sul limite di brume oltre il
quale odo
gli invisibili speroni che percorrono
la terra dei morti. Qui tra la
gente
la vita ha ancora le sue ore
e la giovinezza
continua nella memoria, qui le
sorti
del mondo non sono appese al
filo
di una spaventata identità…”
(pag.172)
La morbida luminosità che
traspare tra i versi pone il lettore in quella sottile tensione di attesa
e di stupore
propria della sorpresa mattutina,
nella quale o per la quale il pensiero si adagia alle visioni irraggiungibili
ed affamate di libertà,
anche se il poeta ben sottolinea le due speranze descritte: sogno è
la visione
della prateria dei morti, realtà
la gente che lo circonda, con la sua ingenuità lontana un miglio
dalla paura della vecchiezza.
Un’ ulteriore possibilità
di entrare nel cosmo della scrittura del porre altrove per riuscire a trasformare
la pagina in coscienza narrativa
offrono i versi:
“Se abbasso l’inferriata tra i
muri e gli steli
ogni cosa sbianca,
come un’altalena
in cielo
sparano i fiori dei morti semi
nella vallata.
E dalla cucina allo sfrigolio
dell’olio
Risponde la memoria di ciò
che è chiuso fuori.
Sono passate le vele arrivate
in un luogo
della terra, tra miele e occhi
scuoto
il caldo della tazza.
C’è chi allunga
il passo
e chi lo trattiene, sulla collina
chi va
e chi viene passa senza essere
visto….” (pag.116)
Il tentativo è quello del
cortocircuito, che avviene nell’esperienza della plasticità del
momento vissuto
ed elaborato dal nostro inconscio,
non tanto qui come liberazione da, bensì come rielaborazione di.
Lo spazio-tempo fissa la sua
lunghezza tra gli eventi che coinvolgono i nostri pensieri ed il bagaglio
che viene stipato nella memoria,
ove le misure vengono naturalmente forgiate dal fiato psichico
il cui ritmo è nella realtà
pensata/parlata.
“La ricchezza, la verità
nascosta all’interno delle cose visibili, è ciò che emerge
e si accampa attraverso
le parole sulla pagina, -scrive
Vincenzo Guarracino nella prefazione –l’evento del vivere stesso come deposito
magmatico di scrittura col suo carico di realtà, sofferenza e insensatezza:
è la desolazione di un altro ritorno
diligentemente annotata dallo
scriba in conclusione dei “viaggi di notte” come se fosse, gesto tra tanti
gesti
consueti e certo anche più
banali, quello più vero ed essenziale della vita, l’atto destinato
e deputato
condensare e consacrare l’esistenza
oltre il “vuoto da riempire”…”.
“Nel silenzio della memoria la
parola,
come rodio di topo, fruscia,
zampetta,
striscia da un capo all’altro
dello scenario:
il teatro è vuoto.
Decifrando il sillabario
l’esistenza ha percorso anche
il futuro;
nulla è mutato, la porta
geme, le foglie
s’accartocciano sul pavimento,
il campanile
batte le ore: il testamento è
ancora da segnare…” (pag.189)
I piani varianti sono riusciti
a mostrare l’annullamento dello spettacolo (il teatro è vuoto) che
giorno
dopo giorno recitiamo ingloriosamente
per gli altri, uno spettacolo fatto dalle nostre mille piccole azioni
cucite oltre il memorabile, per
la esasperazione del vissuto, nel mentre la memoria accantona nei suoi
meandri le parole, il logos,
l’unica realtà che sopravvive, percorrendo anche il futuro, prima
ancora
di raggiungerlo.
Le dimensioni poetiche di Nino
Majellaro hanno una coerenza senza deroghe, un credo che si sostiene
nell’equilibrio dei registri
svincolati dall’affabulazione, e ben contemplati nella fisionomia definita.