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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Sandro Montalto:
Scribacchino
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Il mito,
che sfugge di mano turbato dai desideri, che rifugia la capacità
di odiare se stesso e sublima contemporaneamente la frustrazione, che tante
bufere improvvise balbetta al di là dell’onirico, non restituisce
le pulsioni, occulte e benefiche restauratrici della sopravvivenza, ma
rielabora l’istante in cui parliamo della nostra espressione e sfugge,
anziché apparire come unità integrata nelle tensioni e nelle
incoerenze delle visitazioni. Così la parola, progettata o
vissuta, sequestrata o bestemmiata, sorpresa o costruita, rientra come
una sconfitta ad accettare l’inaccettabile dello spirito, e la conseguente
dicotomia accettazione/prevaricazione coinvolge tutta l’esperienza di un
poeta, che desidera offrirsi squisitamente libero da ogni vincolo e da
ogni possibile fraintendimento.
Montalto,
che è alla sua prima pubblicazione in volume, non maschera la sottile
ironia che lo insegue, attraverso il gioco dei colori, attraverso il proporsi
dei sapori, attraverso la probabilità delle ombre e delle luci,
che fanno del suo verso una parentesi poetica nella frettolosa accettazione
della inconcludenza sociale e morale.
“Ecco:
nessun
innumerevole qualcuno è come lui:
questo
universale pensiero
questo
comune se stesso
questo
grandissimo maestro di grazie
questo
supremo ineluttabile
questo
integrale definito
colui che
è l’Essere e il Non Essere
colui che
è l’ignavia
colui che
è il numero sparitore
colui che
è il vicolo cieco
colui che
genialmente enumera
colui che
istruisce i batteri
colui che
distrugge ciò che crea
colui che
custodisce la liquida reliquia
colui che
intrappola la luce
colui che
enuclea i concetti fondamentali
(……….)
ecco:
esso è
giunto, esso
è
il nulla silenzioso
che
ci sommerge e inghiotte:
e ci sorprende
alle spalle.” (pag. 18)
Fra numerose
scissure e lucidi ammiccamenti la tensione, coerente e continuativa, trascina
le metafore al di fuori di ogni arbitrarietà e , in una fascinosa
polifonia, saldamente dirompente ad ogni pagina , sgorga nelle contrapposizioni
semantiche, per una codificazione tutta personale straordinariamente decontaminata
dal quotidiano, travolgendo il centro del mondo in una querelle dai fulminei
cenni e dalle orchestrate luminosità.
Con le
sole sue forze riesce a farsi carico della nostra realtà mai accaduta,
in un atto che compie a suo piacimento la misteriosa , ma pur necessaria,
reinvenzione del subconscio attraverso la rivisitazione di uno sfumato
onirico decisamente e squisitamente intellettuale.
La simmetria
dei tempi, la specularità delle contraddizioni, la diversità
dei segni, mascherati dal robusto razionalismo, lo smarrimento per una
paura indefinita ed incombente (“…morte: muta metafora o meritata meta”…),
fra il ritmo incalzante delle folgorazioni tace le colpe per non abbandonare
le certezze, cosi che si consegni alla scrittura, senza alcun tremore,
per niente angosciato da incubi, fantasmi, apparizioni, che troppo spesso
saltano dal nulla e per il nulla, e che riescono in alcuni poeti a degradare
il dettato delle proprie intuizioni.
“Chissà
quante molteplici verità
sono sepolte
sotto le parole,
significati
perduti, crittografati
discorsi
inconcludenti…
Mai afferreremo
l’intermittente
fuggire
delle colpe…” (pag.30)
Non vi
è stanchezza nel capovolgere la realtà per una irrealtà
concreta, instaurando un dialogo con il passato nel futuro o dal futuribile
al già toccato, quasi che il gioco delle parole e delle frasi potesse
rientrare , senza colpo ferire, in quello che gli addetti ai lavori chiamano
transfert, per alleviare le contorsioni dell’inconscio.
“Mi trovo
dentro la lingua
mi trovo
nella lingua labirinto dai muri di cento dimensioni fisiche
ci sono
caduto dal muro che indulge al fumo
e ai vasti
orizzonti del possibile, del comune, del senso e nonsenso
mi addentro
fra flora e fauna di sintagmi-esoscheletro
mi aggiro
fra i significati mentre so che la lingua mi inganna mentendo…” (pag.45)
Flessibile,
robusto, autosufficiente, lo strumento di scrittura, capace di reinventare
con la moltitudine indistinta e flagellante e con una certa forzatura di
toni, che sfocia con disinvoltura in una ridondante euforia, sprona le
possibilità di variegate comunicazioni per una lettura protagonista
dell’apparente polemica.
Si immette,
con montaggi e inquadrature in quella illusoria tridimensionalità
della vita per inquadrare valori tattili nelle innumerevoli finestre aperte,
a volte crudelmente, a volte gioiosamente, sulle immagini che durano un
soffio, sui ricordi che incidono sulla narrazione, sulle ipotesi che raggirano
il pensiero, sulle sorprese che il ritmo propone, sulle coreografie che
si perdono nel niente, perché chiamate a simboleggiare una realtà
che non si può dire.
Inghiottiti
come siamo dall’apparenza del vero, immutabile ma irrapresentabile, nelle
similitudini e nelle vanità, nelle finzioni e nelle dominazioni,
non c’è rinuncia, ma proposizione, non c’è demolizione, ma
rimozione.
“Non è
un dolore, questo, che mi pietrifica dentro
come le
altre volte, tutte diverse seppur tutte malvagie:
non è
lo stesso delirio questo foglietto illeggibile
non lo
stesso sudore questo nella sera tarda e falsa
non definitivo
nulla questo esercitarsi alla morte”. (pag.57).
Circostanze
capaci di raccogliere le sincronie più svariate per enucleare quell’eccesso
che aggredisce il nostro subconscio e lo sbatte nei contenuti psichici
più aggressivi, a verificare le distanze più incredibili
o le invenzioni linguistiche più acrobatiche, tali da far sembrare
inutilizzabili le coincidenze significative o le esplosioni fenomeniche.
Protagonista
nell’attenzione al linguaggio, nella precisione del periodare, nella ricerca
del ritmo Montalto delinea sin da questa sua prima prova una lucida e personale
problematica stilistica, fuori da ogni probabile imitazione e scevra da
interferenze precostituite, in modo tale da offrire delle pagine compiutamente
progettate, nella consapevolezza che l’arte non è la realtà
in presa diretta, ma è la difficoltà di rendere realisticamente
credibile anche l’irreale.
In una
ricchezza caleidoscopica anche la denuncia dello smembramento finale, della
sconfitta del corpo contro il tempo , in cui l’avventura corre senza regole
codificate e la sghignazzante falce pronuncia l’empietà del quotidiano,
anche la perdita del pensiero si proietta con dignitosa musicalità
in quel tanto di pittoresco che la furia rovescia ed il mutamento sovverte.