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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Manuel Agnelli,
Il meraviglioso tubetto
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"Perché non posso dirti di non essere felice?"
Un meraviglioso
tubetto con cui mastubarsi. Un tubetto di lozione per capelli, "cilindrico
e
sufficientemente
stretto per un principiante come me…". Un tubetto di plastica infrangibile.
"Il meraviglioso
tubetto" (Mondadori, pp. 109, lire 24.000, con cd inedito) è una
raccolta di testi
di Manuel
Agnelli, cantante e chitarrista degli Afterhours. Poetici testi, testi
di canzoni, frammenti di vita.
Dentro
il tubetto c'è Roberto, dalla dedica in prima pagina al funerale
in ultima, e accanto alla sua bara
Manuel,
sorpreso dal funerale sgorgato improvvisamente dalla vita e pronto a dire:
"Non hai per niente
una bella
cera!" e come ogni volta a scoppiare a ridere. C'è lo spirito di
jim, "una chioma fluentissima
e dolce
che gli scendeva fino ai calcagni. Quando stava fermo era eroico e angelico;
quando camminava,
però,
spesso inciampava e si tirava i capelli, bestemmiando per il dolore". C'è
"Milano, circonvallazione
esterna.
Quattro e mezzo di mattino. Per la radio sono troppo triste. Il dj non
mi parlerà. Sembra avere
tutto chiaro
questo scemo, sembra sempre una sola la realtà. Se volessi modificherei
il mio viso,
ma sarebbe
come arrendersi a quello che non sono e non sentirmi libero di non accontentarmi
della mediocrità
che mi propini. Perché non posso dirti di non essere felice? Non
sono meno vivo".
Ed è
una delle pagine più belle del libro. Fondo nero e scritta rossa.
Dentro il tubetto c'è Dentro Marilyn,
quinta
del live racchiuso tra le pagine. C'è molto disagio e sincerità
estrema. Un sentire comune
che isola
avvicinando e avvicina isolando. "Stesso modo di muoversi, stesso modo
di parlare, stesse
cose da
dire. Le stesse battute, gli stessi pensieri, gli stessi pantaloni, la
stessa risata, lo stesso amore.
Che è
così scontato che esista che ogni volta che ce ne nutriamo come
fosse l'unica cosa che ci rimane
per cena".
Intrappolano
le parole di Manuel. Intrappolano e stordiscono, trasmettando la felice
infelicità di chi
sta bene
e sta male, perché non è mai definitivo. E chi mai è
definitivo in questo mondo? Chi mai è
capace
di provare qualcosa per sempre? E per sempre essere? Chi mai può
negare che siamo fatti
di acqua
e non di pietra? Chi non è vittima dell'inquieto e scoordinato volere
e vivere?
Manuel
racconta chi si masturba si buca e intanto ride. E apre parentesi che devono
restare così.
Senza bisogno
di sparare contro, di discutere intorno, di criticare distruggere rompere.
Perché
come cazzo
si fa ad uccidere una generazione che "ha un trucco buono: critica tutti
per non criticare
nessuno.
E fa rivoluzioni che non fanno male, così che poi non cambi mai.
Essere innocui, insomma,
che sennò
è volgare". E poi: "Non hai mai fatto na na na na per districarti
dai tuoi guai?"
Nel cd
un'accattivante performance inedita degli Agnelli Clementi, registrata
live a Ravenna, Faenza,
Gabicce
da Massimo Carozzi e Flavio Monti, nell'inverno 1999-2000. Gli Agnelli
Clementi sono Manuel
Agnelli,
voce e chitarra acustica, Emidio Clementi, basso e reading, e Pasquale
de Fina, chitarra elettrica.
Tra le
cose più belle del libro, ultima del cd, "Pop".
Così
comincia il libro:
Nelle notti
di luna piena, quando c'era l'aria limpida, potevi vedere in lontananza
al termine della pianura
la raffineria
di S. Martino.
Tutta illuminata
e così lontana sembrava una metropoli americana e le sue ciminiere
altissime e fumanti
la Los
Angeles di Blade Runner.
Avevamo
questo maggiolone Volkswagen grigio e pesante che chiamavamo "la Bismarck"
come
la corazzata
tedesca, e quando la notte era abbastanza luminosa prendevamo la statale
da Magenta
verso Novara,
larga, dritta, placida e leggermente in discesa, per poter vedere meglio
l'orizzonte
anche di
notte.
La pianura
era immensa a destra e a sinistra e noi eravamo veramente dentro lo schermo
di un cinema.
All'inizio
degli anni '80 c'erano solo dark e paninari.
Essere
neri, malinconici, tristi e un po' patetici ed imbecilli ormonali, allampadati
e vestiti da paracadutisti
in borghese.
Noi non
eravamo né gli uni né gli altri.
Avevamo
un nostro codice morale, un nostro linguaggio e un nostro abbigliamento.
Ci eravamo
volutamente chiamati fuori da quella mediocrità e ci crogiolavamo
nel nostro eroico
e volontario
isolamento dalle leggi della società. Troppo giovani e buoni per
essere dei reietti.
Troppo
veri, naturali e coerenti per essere solo degli adolescenti che giocano.
Eravamo
felici di vivere quella che si sarebbe poi trasformata nella tragedia della
nostra vita:
l'ebbrezza
di essere dei diversi.