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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Rino Mele:
L'incendio immaginato
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Anche se
in quarta di copertina viene sottolineata la rivisitazione in chiave poetica
della vita,
o parte
di essa, di Giordano Bruno, la metafora che sottende tutta la tessitura
del poemetto risulta
di una
intensità tale, che il racconto del vissuto si confonde egregiamente
con la frequentazione del pathos,
traendo
spunti di pregevole freschezza recitativa.
La voce
narrante, la voce del poeta, diviene tutt'uno con la personalità
del filosofo, a raffigurare l'uso
teoricamente
impuro del primo significante (il potere) contro l'agilità della
leggenda, che intorno al rogo
si è
creata attraverso i secoli.
Le forme
verbali, gli aggettivi, gli avverbi, sono una sorta di sinestesia personale,
che conferisce al discorso lirico
la ambigua
possibilità di spostamenti attraverso il tempo storico, dove l'attrattiva
del folclore propone
l'improvvisa
irresistibile pulsione creativa.
"I ciechi
vedono/ come i falchi accecati / per invidia" (pag. 14) e "il pane che
si transustanzia , l'aria/ è fredda,
il rigor
della fiamma, vede un fanciullo nudo acceso" (pag. 14) sono dei rapidi
esempi di cimbalo che risuona
come un
corallo nella ritmica sfrenatezza che la memoria nutre ed alterna.
"La neve
è una parete, le mrosse, / un mare bianco senza onde, le ombre/
dei cacciatori nascoste come
i rumori,
il sonno/ attraversato dal grido di pernice ferita/ grigia e oro" (pag
29)
Di Giordano
Bruno credo (o spero) che tutti conoscano qualche notizia biografica, perchè
qui non si vuole fare storia,
nè
tantomeno si vuole riaccendere un "processo", che verie volte è
stato criticato .
Il dettato
poetico accenna a ben altro: la luce di un intelletto incompreso e duramente
provato, lo specchio
di un abbaglio
(e quanti ne furono concepiti) del famoso inquisitore, le incredibili e
pur possibili immaginazioni oniriche
o inconsce
di un uomo destinato al rogo, la figura emblematica di un martire/non martire,
e via di seguito, tra verso
e verso
ad accenni di vita familiare :"A Venezia,/ Jacopo, il figlio del Tintore,
su una tela/ di venti metri poneva
il Paradiso
nella Sala/ Maggiore del Palazzo Ducale. Gli chiese/ di quell'infinito
stare dei corpi/ senza corpo, bianchi
di luce
lavata/ di troppa acqua..." (pag.29)
Rino Mele
non ama il paradosso, ma con eleganza offre in queste pagine - arricchite
con estro e genialità dalle tavole
in bianco
e nero di Gelsomino D'Ambrosio - la prova di una difficile sperimentazione,
che ingabbia il lessico nella formula
più
libera di un racconto ritmato dalla poesia, dove i versi ruotano con agilità
attorno ad un nucleo di ricchezza concettuale,
di
collegamenti, che rendono compatto ed efficace il messaggio, attraversato
da suggestioni ed evocazioni
senza limiti
o vincoli.