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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Marco Palladini:
Fabrika Pòiesis
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Dissacratoria, polemica nella sua ironia verso tutti i versanti della vita,
sociali, politici,
culturali,
di ispirazione chiaramente antilirica, questa composita raccolta di Marco
Palladini,
presenta
uno stile e una poetica originali, anche se, come dice Plinio Perilli,
nell'esauriente
saggio
introduttivo, ci troviamo di fronte a contaminazioni attraverso modelli,
che poi vengono
reintempretati,
seguendo una linea del tutto libera e personale, espressione di un
percorso
autonomo,
provocatorio, quando la rabbia e il dolore, sottesi alla suddetta ironia,
emergono
nei versi,
mai come inutile sfogo, ma con compostezza e icasticità, in un contesto
del tutto originale.
Quella rappresentata da Palladini (e il termine teatrale è pertinente
anche perchè Palladini
è
autore e artefice teatrale oltre che performer scenico), è una realtà
che ha come matrice, come forza
propulsiva
e intento, quello di graffitare storie, aderendo spesso ad un tono undergraund
del tutto
personale,
grazie al quale, come dice Perilli, il poeta diviene il vero, dolente libertario
e acerrimo,
cantore
dell'ultima generazione, della quale si fa voce e interprete , non solo
di aspetti reali, concreti,
ma anche
di risvolti strutturali, linguistici come quello della difficoltà
nel comunicare, che diviene vera
e propria
coraggiosa e loquace afasia:
Il testo
codesto non/ si limita a dire,/ dice l'illimite, suggerisce/ e senza dire,
nel dire muto/ si commuta
indice
commenta,/ reticente il suo dire troppo/ allude al meta-dire, all'intraudire,/
quindi, messo all'indice
da ovunque
a novumque/ si contraddice,/...
Qui non
c'è una dichiarazione di debolezza del testo poetico, della parola,
c'è piuttosto una tensione
che arriva
a condensare, il limite da superare, l'intento associato alle parole che
costituiscono gli altri
componimenti,
sliricate e forti a volte gridate, nella loro mimesi linguistica, teatralità
parossistica, utopia
ridanciana
e faceta, frustrata e capziosa, ma sempre sottese ad un messaggio che
arrivi in qualsiasi modo,
a svolgere
una funzione per chi lo legge, funzione assai diversa del messaggio di
gran parte della poesia
italiana
contemporanea.
Quella che ci presenta Palladini è una materia incandescente nel
suo affabulante percorso,
che presuppone,
però, una visione critica della realtà, un suo calarsi nelle
varie situazioni della vita,
pubbliche
e private, che sottende anche il suo conoscere questa realtà postmoderna
di cui facciamo parte,
condizione
necessaria per poi attaccarla in maniera caustica e, nello stesso tempo,
precisa. Leggiamo
PhiloVirus:
L'unico
sesso sicuro? Quello che non si fa./ Profilattico repellenti di obbedienza
vaticana/ rivomitano
veti &
anatemi, crugifige/ e neovetero tabù. Ideale loro integrale:/ le
retour alla Grande Repressioner/ (che
sotto sotto
è già tornate e/ passata.... va e viene come le piace).//
Ma poi la copula non copulata/ distoglierà
davvero
l'Aids incubo ossessione/ a lunga incubazione? O non piuttosto/ è
pia illusione di mala intesa
Fede/-comunque
un bruttaffare di malasanità?// (Per questo forse la madonnetta
in gesso/ piange
a sangue./
E gli fan le analisi/ Liquido mestruale?) Monomaniaci sessuopapisti/- se
li conosci li eviti-/ invano
il mondo
provano a mondare/ aizzando l'esorcismo antisexuale./ Monatta o mentecatta
la crociatina/ peraltro
che rimerita
il titolo epocale/ di philovirus d'abord e honoris causa/. Nella
dizione di questo componimento
dolente
e ironico, blasfemo e terrestre, si sente fortemente, tra l'altro,
il forte senso generazionale dell'autore:
attraverso
una serrata critica alle posizioni sessuofobiche della Chiesa, il poeta
dipana una materia ben
padroneggiata
e, fatto saliente, afferma che forse nell'atteggiamento ecclesiastico verso
la sessualità,
argomento
di così grande urgenza per i giovani prima del matrimonio, c'è
forse una cattiva interpretazione
della Fede,
di un Dio che è, innanzitutto gioia, e, quindi, anche Creatore del
piacere dei corpi.
Colpisce nei componimenti di Marco Palladini la forza quasi fisica di ogni
singolo verso, poesie che si dipanano
per accumulo,
in forme dove dominano velocità e precisione, che bene si coniugano
con le intenzioni dell’autore,
con la
sua battaglia e la sua dissacrante denuncia. C’è spesso anche una
forte componente psicologica
che emerge
in particolare nelle due poesie, una dedicata ad Amelia Rosselli e l’altra
a Dario Bellezza: leggiamo
appunto
in Amelia R…: /Mangiaparole d’uno scontressere/ in lingua quasi straniera
o metastraniata/ Secrete
varianti
per le tue minime intraguerre,/ che del secolo la vera sono tragica jam/
Arrosselliamoci se l’arteroscleròsi
ci laicovomita,/
ci fa sbavanti vermi e sul pattume/ Dura la voce dark di phoné arcana,/
di peso onirico…/… Sembra
quindi
di vedere, quasi, una proiezione del mondo della poetessa che è
poi il ‘900 di tutti, in queste parole scandite,
gridate,
quasi arroventate, che tuttavia si susseguonono nitidamente, senza ingorghi
semantici o sintattici; notevole
anche la
creazione di termini da parte dell’autore, sintetici ed efficaci.
Un lavoro, quindi, questa Fabrika Pòiesis, originale e innovativo
nella sua vena sperimentale indiscutibile,
che si
apre per il lettore, con i suoi contenuti, poetici e ideologici, nonché
culturali, come uno strumento
di riflessione
non solo sulla poesia, ma anche su tanti aspetti della società che
si apre al terzo millennio.